E’ atteso per questa sera, a mercati chiusi, il verdetto di Moody’s in merito al rating del debito italiano. L’ultimo, dopo quelli di S&P Global, DBRS e Fitch, ma il più temuto: un nuovo giudizio negativo, dopo quello di circa 15 mesi fa, sarebbe causa di non pochi problemi, ad iniziare dallo spread, ormai lontani dai picchi di oltre 1 mese fa, quando era volato ben oltre i 200 bp, portando il rendimento del nostro BTP decennale ad un passo del 5%.
Da nessuna parte, salvo qualche brevissimo “remind”, peraltro, oggi si legge del nuovo esame che ci attende. Il “non detto”, quindi, ancora una volta, “dice” molto: evidentemente la convinzione è che non ci saranno sorprese negative, con quasi tutti gli osservatori sicuri che, parafrasando il tennis (di grande attualità in questi giorni), otterremo il “grande slam”, con 4 su 4. Se così fosse, tutti, a partire dal Governo, tirerebbero un bel sospiro di sollievo: le Istituzioni europee, con in testa la Commissione Europea, che proprio in queste settimane sta “guardando i numeri” della nostra finanziaria (un giudizio negativo avrebbe immediate ripercussioni negative sui conti, con il costo del debito che subirebbe una ulteriore impennata, questa volta non per le politiche monetarie di maggior rigore della BCE, costringendo quasi certamente l’organismo europeo a richiedere dei correttivi), il Tesoro, che altrimenti sarebbe costretto, con tutta probabilità, a mettere nuovamente mano ai numeri (vd le ragioni di cui sopra), i risparmiatori, che vedrebbero ulteriormente stabilizzarsi, se non apprezzarsi, i valori dei titoli pubblici (ma anche di altri titoli obbligazionari) eventualmente detenuti in portafoglio, le Banche d’affari e le società di Asset Management, che altrimenti dovrebbero correre ai ripari, alleggerendo le loro esposizioni sull’Italia, con una riallocazione del portafoglio.
Una sorta di win win, dove gli unici a riemetterci sarebbero coloro che hanno puntato “contro” l’Italia (vendendo allo “scoperto” titoli pubblici italiani e che sarebbero costretti a veloci ricoperture).
Lo spread a 175 bp (il valore toccato ieri) fornisce indicazioni precise sull’umore del mercato domestico, che, peraltro, non fa che confermare il buon momento per i mercati globali.
Complici anche i recenti dati sull’inflazione, ovunque sotto le attese, si è venuta a creare una situazione che si può definire, sotto il profilo degli investimenti, “costruttiva”. A tranquillizzare i mercati anche la situazione geo-politica: per quanto, come più volte ribadito, le tensioni (soprattutto quella medio-orientale, ritenuta da tutti la più insidiosa e pericolosa) non siano finite, si può affermare che, per il momento, sono state “richiuse” in un cassetto (a Taiwan, per esempio, sembra che il partito indipendentista sia sfavorito alle prossime elezioni, mentre, a proposito di crisi medio-orientale, parrebbe che l’Iran abbia preso le distanze da Hamas). La ripresa del dialogo tra USA e Cina (nonostante l’ennesima gaffe di Biden, che, non appena finito il summit con Xi Jinping, ha definito il Presidente cinese un dittatore), poi, può essere un ulteriore, quasi inaspettato, potente contributo nel ristabilire una maggior collaborazione tra le 2 potenze e, ancor di più, per favorire la ripresa economica globale.
Tutti buoni motivi che portano gli investitori ad assumere, in questa fase, un atteggiamento maggiormente predisposto al “rischio”, nella convinzione che riduzione dell’inflazione da una parte e avvisaglie di un rallentamento economico dall’altra, porteranno le banche centrali a decisioni più caute: si inizia, quindi, a “ripensare” il futuro, proiettando i mercati al momento in cui (tarda primavera-inizio estate) i tassi cominceranno a scendere e saranno superati i primi 2 trimestri dell’anno, ritenuti i più difficili da un punto di vista di tenuta economica.
Poco mossa, ieri, Wall Street, con le quotazioni dei maggiori indici (Nasdaq, Dow Jones, S&P 500) intorno alla parità.
Questa mattina, invece, sulle piazze asiatiche, pesa non poco la caduta di Alibaba, dopo che è stata comunicata la volontà di non procedere allo spin-off della divisione di cloud computing, nel timore che l’operazione non porti i risultati sperati. A subire le perdite maggiori è, come ovvio, l’Hang Seng di Hong Kong, vista la forte componente tecnologica che lo contraddistingue, in calo di oltre il 2% (- 2,14%). Risalgono, invece, dopo lo scivolone iniziale, il Nikkei a Tokyo (+ 0,48%), dopo che la Bank of Japan ha ribadito la volontà di continuare a perseguire una politica monetaria accomodante, e Shanghai (+ 0,11%).
Chiusura negativa, invece, per il Kospi di Seul (– 0,74%).
Futures al momento poco mossi, con movimenti frazionali.
Giornata pesante, ieri, per il petrolio, con le quotazioni tornate ai valori di luglio: il WTI segna 73,18, stabile questa mattina, dopo che ieri aveva lasciato sul terreno circa il 4%. A causare la caduta dei prezzi la notizia che le scorte americane sono salite e i timori di un rallentamento dell’economia globale.
Gas naturale Usa a $ 3,09 (+ 0,72%).
Oro a $ 1.986, in leggero calo questa mattina (– 0,14%).
“Lima” ancora, questa mattina, lo spread, che scende a 174 bp.
BTP a 4,34%, valori che non si vedevano da settembre.
Bund a 2,58%.
Treasury a 4,45%, con il biennale a 4,85%.
€/$ sui valori di ieri (1,084).
In leggera ripresa il bitcoin (+ 0,27%, $ 36.258), dopo la “giornata no” di ieri, con le quotazioni in ribasso del 4,5%.
Ps: abbiamo imparato, a nostre spese, come una delle maggiori conseguenze dell’inflazione sia stato il forte aumento nella ristorazione: andare “al ristorante”, senza arrivare agli “stellati”, per molte famiglie italiane è diventato un lusso. Pagare, però, $ 40.000 per cenare con il Presidente cinese Xi Jinping, come hanno fatto 400 facoltosi americani, tra cui Tim Cook, Elon Musk, etc, non credo sia dovuto all’aumento dei prezzi…